'My Mexican Bretzel', il diario di viaggio e dei desideri perfetto

Anonim

Il mio Bretzel messicano

La Svizzera e lo sci anni Cinquanta.

Se sei arrivato fin qui senza aver visto Il mio Bretzel messicano, senza sapere nulla, la cosa migliore che puoi fare è smettere di leggere. Vai a vederlo, vai al cinema e torna qui a leggere. Poi cerca di capire e decifrare tutte quelle immagini che hai appena visto, accompagnate dalle parole di un diario. Giusto per curiosità perché, probabilmente, alla fine del film non avrai bisogno di sapere più di quello che hai visto e proverai a comporre i pezzi del puzzle visivo proposto dal regista. Sarebbe il modo migliore per guardare il film Nuria Giménez Lorang.

Ma se vuoi saperne di più, prima o dopo aver visto My Mexican Bretzel, c'è molto altro da sapere. Tutto è iniziato nel 2010. Quell'anno, Nuria Giménez Lorang ha accompagnato la madre a Zurigo, a casa del nonno appena scomparso. Stavano per prendersi cura delle sue cose e lo ha trovato nel seminterrato 50 bobine di film da 8 e 16 millimetri. Suo nonno non li aveva mai menzionati, non l'aveva mai detto Tra il 1940 e il 1960, ha filmato ogni viaggio che lui e sua nonna hanno fatto. Incredibili viaggi, ancor di più in quegli anni, nel pieno del dopoguerra. I nastri erano stati conservati lì per 40 anni e Nuria li ha portati a Barcellona prenditi cura di loro, digitalizzali e inizia a studiarli al millimetro, al secondo, vedendoli ancora e ancora, convinta che qualcosa sarebbe uscito da quel filmato ipnotico, a colori, lo sguardo di suo nonno di tutti quei posti in cui sono andati insieme.

Il mio Bretzel messicano

Turismo d'élite nel dopoguerra.

Il regista ha impiegato sette anni per lavorare con quelle immagini e finire questo film, My Mexican Bretzel. sette anni in cui Era sempre chiaro su cosa non voleva fare: un documentario convenzionale. Non voleva raccontare la storia dei suoi nonni, perché sarebbe stato mentire, sarebbe stato inventare senza avere le loro parole dirette, la loro descrizione di quei luoghi, sapendo dalle loro bocche perché ci andassero, quando, con chi, cosa provato. Poi iniziò a scrivere. Mentre lo racconta, sembra quasi che fosse una scrittura automatica. Scriveva tutto ciò che gli veniva in mente, suggerito dai bagni in mare della zia, le immagini della neve in Svizzera, gli aerei, le barche... Ha indicato citazioni molto ponderate che riflettevano sui desideri, sulla narrazione stessa, sulla vita.

Ad un certo momento cominciò ad incrociare le immagini, gli scatti e le scene scelte che gli piacevano di più con alcune di quelle parole e la magia del cinema è germogliata. Se diventiamo molto tecnici, Nuria Giménez Lorang è partita dal cosiddetto filmato trovato per creare un film non-fiction, quello che non è documentario, né finzione.

Il mio Bretzel messicano

Il mare è una delle mete preferite dei Barrett.

Le immagini che vediamo sono quelle dei suoi nonni: Frank A. Lorang e Ilsa G. Ringer. Le parole che leggiamo sono quelle di (una inventata) Vivian Barrett, il suo diario personale parlando di lei e Leon, suo marito, creatori del Lovedyn, una pillola miracolosa che ha dato loro i soldi, il successo e la scusa per quei meravigliosi viaggi da Maiorca alle Hawaii, da Las Vegas a Venezia, da Mont Saint-Michel a New Orleans. “Luoghi in mezzo al nulla. Luoghi senza interiora. Siti che hai dimenticato mentre sei ancora lì. Siti che non respirano. Siti che non si muovono, che non odorano, sanguinano, mordono o parlano. Siti capaci di attraversarti senza toccarti”.

Vivian a sua volta si appoggia alla saggezza del presunto guru Paravadin Kanvar Kharjappali, un personaggio di cui il regista ha approfittato per mettere in bocca tutte le frasi che in Vivian sarebbero sembrate obbligate, come la citazione con cui inizia il film e che già ci dà un indizio di quello che vedremo dopo: "La bugia è solo un altro modo per dire la verità."

Il mio Bretzel messicano

Fatti storici mescolati a desideri immaginari e reali.

Come ciliegina sulla torta, ha deciso il regista senza voce fuori campo e non c'è praticamente nessun suono ambientale nell'intero film. È cinema nella sua essenza più pura, analogico e quasi primitivo. Solo le immagini magnetiche, il sorriso della nonna e i sottotitoli delle riflessioni sul desiderio, sui sogni... Frasi che si plasmano, senza accorgersene, un melodramma classico, Douglas Sirk o Todd Haynes sono i primi nomi che dà. Attraverso le parole di Vivian e la sua immagine in quei luoghi, ci viene rivelata la vita in quei decenni, il ruolo della donna e quello dell'uomo, che è colui che porta la macchina da presa.

Vivian Barrett o Ilse G. Ringer.

Vivian Barrett o Ilse G. Ringer.

Il mio Bretzel messicano È, ovviamente e in definitiva, una riflessione sulla narrazione, sul cinema stesso, di quelle immagini che crediamo essere la verità, finché non lo sono. O se. "Le riprese sono una delle migliori forme di autoinganno, un bellissimo mezzo per scomparire". "Se filmi non devi vivere." "Non so più se filmiamo quello che facciamo o facciamo quello che facciamo perché l'abbiamo filmato".

Il mio Bretzel messicano

Leon e Vivian Barrett.

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