Il telefono del vento: viaggio nell'epicentro del dolore

Anonim

Still da 'The Wind Telephone di Nobuhiro Suwa.

Ancora da "Il telefono del vento", di Nobuhiro Suwa.

Haru, ne Il telefono del vento, ha 17 anni ed è originario di Otsuchi, nella prefettura di Iwate, nel nord del Giappone. Otto anni fa, uno tsunami è ruggito e ha preso proprio tutto. I suoi genitori e suo fratello sono scomparsi, come inghiottiti dalla terra.

Come è successo anche con più di 2.500 persone nel Costa orientale del Giappone, colpita dalla catastrofe dell'11 marzo 2011, i cui corpi non sono mai stati localizzati. Il bilancio totale delle vittime appare **stampato all'inizio del film, in completo silenzio, con un sobrio promemoria bianco su nero: 15.897.

Il viso di Haru (splendida incarnazione di Serena Motola), con la palpebra inferiore leggermente gonfia, sembra nutrire un dolore di quelli che sta esaurendo il corpo minuto dopo minuto. Al punto da trasformarlo in uno spettro che si intrufola nelle faccende quotidiane senza sapere davvero quale sia il motore che lo guida. zoppicando

Da quando è avvenuta la tragedia, Vive con sua zia a Hiroshima (posizione non casuale nel film). Ma quando si ammala, qualcosa dentro l'adolescente finisce per lacerarsi. E a malapena consapevole di dove stanno andando i suoi passi, inizia per lei non solo un passaggio a casa attraversando il Giappone da sud a nord, ma un autentico viaggio on the road attraverso la geografia del dolore nel suo paese.

FUKUSHIMA E I FANTASMI DI HIROSHIMA

Il filosofo Byung-Chul Han dice all'inizio del suo saggio The Palliative Society (Herder, 2021): “Il rapporto che abbiamo con il dolore rivela il tipo di società in cui viviamo. I dolori sono segnali criptati (...). Ecco perché ogni critica sociale deve sviluppare la propria ermeneutica del dolore».

Cosa ci dice il dolore della nostra società, della nostra storia e di noi stessi? Questa è una delle domande che sembra porci indirettamente Il telefono del vento, l'ultimo film di Nobuhiro Suwa (Yuki & Nina, 2009; Il leone dorme stanotte, 2017), con cui rotola di nuovo sul suolo giapponese dopo il suo mediometraggio A Letter from Hiroshima (2002). Città, invece, in cui questo regista è nato nel 1960.

Hiroshima sembra un'enorme cicatrice cheloide che, ogni tanto, fa male. E il disastro alla centrale nucleare di Fukushima, dopo il terremoto del 2011, ha risvegliato la memoria del **grande trauma storico giapponese. **

Memoriale della pace di Hiroshima

Memoriale della pace di Hiroshima

In Il telefono del vento, i fantasmi di Hiroshima appaiono sottilmente e persino quotidianamente, attorno a un umile tavolo, che collega simbolicamente il passato e il presente del popolo giapponese attraverso il racconto del viaggio del suo protagonista. Che finisce per fare anche da confessionale ai personaggi che incrociano la sua strada.

perchè è questo Non è solo la storia di un adolescente che attraversa il dolore e inizia il suo viaggio verso l'età adulta. Anche il giovane Haru lo è catalizzatore del dolore delle persone che incontra accidentalmente sulla sua strada. Coloro che sono attraversati, come parte inevitabile della vita, da diverse perdite e preoccupazioni esistenziali.

Il tuo compagno di viaggio più significativo sarà, appunto, un sopravvissuto di Fukushima: Morio (interpretato da Hidetoshi Nishijima).

Il telefono del vento è un film che parla viaggiare nel vuoto, nel silenzio e nella terribile solitudine di colui che ha perso tutto tranne la vita , e che cerca di trovare un senso a cui aggrapparsi per non essere travolto dal buio.

Non ci sta solo parlando il dolore come viaggio personale, sociale e storico. Ci sta raccontando cosa, in verità, significa 'sopravvivere'.

MOSHI MOSHI. IL TELEFONO PER PARLARE CON CHI NON C'È PIÙ

Il 'telefono del vento' esiste. E si trova esattamente dove lo colloca il film di Nobuhiro Suwa: **a Namiita, Otsuchi. **

Nel 2010, appena un anno prima dello tsunami, un pensionato decise di sistemare una cabina telefonica bianca nel suo giardino con dentro un telefono staccato, dopo la morte del cugino. Subito dopo la tragedia del 2011, la gente del posto ha appreso della sua esistenza e cominciarono a venire per alleviare il peso del loro dolore, 'conversare' con i loro cari defunti.

A poco a poco, il luogo è diventato a luogo di pellegrinaggio per i giapponesi provenienti da diverse regioni.

Una cabina che è stata trasformata in rifugio di rituali intimi, minimi, ma tremendamente significativi. Una cabina che, forse, potrebbe fornirci informazioni molto preziose per elaborarlo “ermeneutica del dolore” di cui parla Byung-Chul Han.

Nella parte finale del film, prima ancora di conoscere l'esistenza della cabina, Haru rivela il suo nome completo a Morio: Haruka, che si riferisce alla fragranza della primavera. Lo fa, come per tutto il film, in modo succinto, senza banalità o dolcezza. Dare al tuo nome l'altra metà che porta il suo pieno significato. Pronto per il passaggio all'età adulta. Assumersi forse la responsabilità più importante: ricorda e continua a vivere.

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